IL LADRO DI TALENTI

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foto di Impollinaire

Era appena dopo cena. Alcuni avevano già raggiunto le stanze e si preparavano con calma per la notte. Erano i pochi in grado di muoversi da soli, seppure con l’aiuto di bastoni e deambulatori. I più dovevano attendere le infermiere per essere spinti sulle carrozzelle fino alle loro stanze.

Placata la fame non avevano però la pazienza di aspettare e iniziavano ad allontanarsi dalla tavola per raggiungere in qualche modo l’uscita del salone. Sul pavimento si disegnava allora un intreccio di percorsi segnati da tovaglioli, avanzi di cibo e posate. Sembrava una gara al rallentatore ma in realtà era una fuga per rintanarsi al più presto nel buio del letto e far sparire tutto dagli occhi.

All’imbocco del corridoio c’era una strettoia e l’arrivo stentato di più sedie a rotelle creava un ingorgo. I parenti in visita si trovavano davanti a un autoscontro di teste ciondolanti che ansimavano e imprecavano nell’ansia di liberarsi da quell’intrico penoso. Le due infermiere facevano su e giù dalle stanze, districavano le carrozzelle ai margini della mischia e le portavano alle rispettive destinazioni. Così, in un ripetersi di viaggi, fino alla soluzione definitiva dell’intasamento.

Nell’incastro di ruote e pedane Antonello Peretti si distingueva per aggressività e insofferenza, manovrando le ruote a bruschi scatti, avanti e indietro, a destra e a sinistra. Quello che restava del suo carattere lo faceva lottare senza tregua, speronando chi gli stava davanti e investendo in retromarcia chi si faceva sotto alle sue spalle.

Fino a qualche anno prima quello doveva essere stato il suo stile di guida e di parcheggio. Bofonchiava rauco, sbavando, con il capo chino da un lato che sembrava non appartenere più a quel busto instancabile.

Le sorelle Alterigi, tra le prime a essersi ritirate, sbirciavano il via vai dalla porta socchiusa della camera. Lo spettacolo – in realtà qualunque fosse stato – suscitava in loro uno sdegno evidente, sottolineato da smorfie e occhiate di disapprovazione.

Non ancora stanche di deprecare le storture del mondo, si concedevano un momento di biasimo serale prima di chiudere la porta e ritirarsi nel loro ultimo rifugio.

Le fedi tintinnavano isteriche fra loro, agitate com’erano dai movimenti veloci di Caterina Estachi. Irriducibile nel suo impegno domestico, la donna era intenta a rassettare la camera prima di coricarsi. Seduta sulla sponda del letto, sua figlia Laura cercava di richiamarne l’attenzione raccontando del nuovo compagno e di come le nipoti avessero accettato la novità senza troppi problemi.

“Pensa che, nonostante il periodo turbolento, vanno sempre benissimo a scuola e le professoresse, ti assicuro, sono esigentissime!”, diceva alla madre che le voltava le spalle continuando a spolverare l’unica mensola della stanza. La fede del marito, infilata nello stesso anulare dell’altra, con quei rapidi suoni ritmici forse le stava trasmettendo qualcosa.

A tavola, con la testa china sul piatto, rimaneva solo Girolamo Benti. Le mani dalle dita sottili erano ai lati del piatto, immobili ed elegantemente distese, abituate com’erano dalla lunga disciplina a posarsi così sulla tastiera del piano, all’inizio e alla fine di ogni concerto. Sembrava un saluto ossequioso alla tavola ormai deserta.

Come ogni sera da quando si trovava nella Casa, Girolamo Benti sarebbe stato l’ultimo a essere ricondotto nel suo letto. Nessun figlio o nipote si sarebbe fatto avanti a pregare o pretendere per lui un trattamento più decoroso, e nessun altro avrebbe avuto il tempo o la voglia di chiedere un’attenzione più sollecita ai bisogni di un vecchio chiuso da tempo nella sua demenza.

CONTINUA…

~ di impollinaire su Maggio 13, 2020.

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